Non è semplicemente un modo di dire: la quadratura del cerchio nasconde tutto un discorso…
Last Updated on 28 Novembre 2018 by Micaela
Uno dei concetti matematici più complessi da afferrare è proprio il concetto di “Infinito”.
Che vuol dire? Da dove è nato? C’è un “oltre” ?
La cosa si potrebbe approcciare da un punto di vista filosofico, ma sempre complicato rimane!
Nell’antichità, tutto ciò che non poteva essere compreso, tutto ciò che creava destabilizzazione, tutto ciò che “rompeva” l’armonia del già noto e digerito, non era visto bene, anzi, veniva accantonato e guardato con disprezzo e questa è stata la sorte del concetto dell’infinito, definito, all’epoca, per negazione, ovvero come qualcosa di NON finito e basta.
Era stata negata la sua importanza e la sua valenza anche dal punto di vista matematico, cercando di “insabbiare” le intuizioni che, invece, nel corso dei secoli venivano fuori.
Solo con Galilei è uscita prepotentemente questa nuova questione, ma non riuscì ad essere spiegata con rigore, si era intuito l’esistenza di un concetto più forte e potente di tutti, un concetto che nascondeva un nuovo mondo, ma si dovette aspettare fino l’Ottocento e ancor di più, il Novecento per trovare la giusta collocazione e l’importanza doverose!
Facciamo un passo indietro e cominciamo a vedere i dubbi che vennero creati dalle teorie sulla finitezza delle cose di Pitagora.
Questo matematico, infatti, dichiarava la finitezza di un qualsiasi segmento e la capacità di poter “contare” i numeri dei punti che lo componevano, così facendo affermava anche la possibilità di poter mettere in relazione tra loro qualsiasi coppia di segmenti:
Se il segmento AB ha 5 punti ed il segmento CD ha 9 punti, allora il loro rapporto è di 5/9 (numero razionale), quindi i segmenti sono commensurabili.
Un discepolo della scuola di Pitagora, però, applicando il famoso teorema di Pitagora del triangolo rettangolo, su un triangolo rettangolo isoscele (cateti uguali) con cateto pari a 1, capovolse il mondo.
Infatti, dimostrò che cateto e ipotenusa non potevano essere grandezze commensurabili, perchè il loro rapporto era dato da un numero “strano”, infatti il numero che dava il loro rapporto è la radice di 2: un numero non intero e con un numero imprecisato di cifre dopo la virgola, ma che roba è!? Pussa via!!!! E venne espulso dalla scuola, proprio perchè aveva trovato un obbrobrio, aveva aperto la strada ai numeri irrazionali e, per giunta, andava contro le teorie del maestro, ERESIA!
La cosa si fermò lì e non ebbe seguito, ma un certo Zenone, poi, tirò fuori il suo paradosso del veloce Achille e la lenta tartaruga, andando a sfiorare anche lui il concetto di infinito…
Infatti Zenone, immaginò una gara di corsa su di un percorso lungo un metro, tra il pelide Achille e una tartaruga. Magnanimo, Achille, dà un vantaggio di mezzo metro alla tartaruga e poi comincia a camminare anche lui.
Il fatto è che nel tempo che Achille impiega a percorrere quel mezzo metro di vantaggio della tartaruga, l’animaletto avrà percorso un altra porzione di strada, così Achille, nel tempo che percorre quell’altra porzione mancante, si troverà ancora avanti la tartaruga, che avrà fatto qualche altro passetto in più e così via… all’infinito…
In pratica, solo dopo una somma infinita di piccolissimi segmenti, Achille può raggiungere la tartaruga.
E qui si comincia a fare spazio il fatto che una somma infinita può dare come risultato un numero finito.
Ma chi intuì il vero concetto di infinito, fu Galilei.
Infatti lui notò la corrispondenza che l’insieme dei numeri naturali (numeri interi positivi) potessero avere con il proprio quadrato:
1 –> 1
2 –> 4
3 –> 9
4 –> 16
e così via, all’infinito, appunto.
Questo metteva in relazione l’insieme dei numeri naturali (1, 2, 3, 4, …) con un suo sottoinsieme (1, 4, 9, 16, … ), il che contraddiceva quanto affermava Euclide: una parte è minore del tutto.
Questi due insieme avevano la stessa cardinalità, ovvero lo stesso numero di elementi e un numero infinito!
Galilei, preso da mille pensieri, abbandonò la volontà di mettersi a spiegare la cosa con rigore e, seppur ammettendo l’esistenza di questa nuova intuizione, non volle continuare a studiarci sopra, proprio perchè incapace di andare avanti.
Fu allora Cantor che prese il testimone di questo ingrato compito, tanto da esser poi considerato pazzo e inconcludente! Poveretto!
Cantor definì un insieme infinito, se poteva esser messo in corrispondenza con una parte di esso (proprio come aveva intuito Galilei).
E dai qui, proseguì… dimostrando addirittura che non esiste un infinito unico, ma infiniti infiniti diversi tanto da ammettere egli stesso: “Lo vedo, ma non ci credo!”
Infatti, dimostrò che l’insieme dei numeri Reali (quelli che comprendono tutti i numeri, anche gli irrazionali – come la radice di 2- ad esempio) sono di più dei numeri Naturali, quindi c’è un grado “superiore” di infinito tra questi due insiemi.
Insomma, in tutte queste congetture, Cantor morì solo, depresso, disperato ed emarginato dalla comunità matematica.
Furono Hilbert e Russel a riprendere i suoi studi, ad ampliarli e a riconoscere la sua genialità!
Questi concetti si catapultarono pure nell’ambito della geometria Euclidea e nacque la geometria di Riemann.
Infatti qui si cominciò a mettere in discussione, ad esempio, il fatto che due rette parallele non si incontrino mai… ma può essere, invece, che si incontrino all’infinito… perchè no!?
Ma questa è un’altra storia…
A proposito, ma ai Maya era noto il concetto di infinito?
Interessantissimo post, rifletterò.
Mi fai morir dal ridere e nello stesso tempo mi educhi … grazie!