Sono diversi anni che affanno a trovare un libro per bambini piccoli che parli della…
Last Updated on 2 Settembre 2017 by Micaela
E’ un po’ di tempo che medito quando e dove iscrivere le bimbe a praticare un qualche sport.
Non so ancora decidermi sul cosa far fare loro, sul come organizzarmi.
Non so bene come scegliere, cosa chiedere nel momento in cui andrò a vedere una qualsiasi struttura sportiva.
Insomma, mi sto facendo un milione e mezzo di interrogativi in merito, senza arrivare ad alcun punto definitivo.
Poi ho pensato: “Perchè non chiedo a qualcuno che ci capisce veramente?”
Inutile farsi delle pensate abominevoli per poi prendere grandi cantonate, tanto vale chiedere a chi ne sa di più, a chi fa questo di mestiere e non solo, a chi lo fa con passione.
Così ho chiesto a Chiara istruttrice federale di ginnastica artistica nonchè laureanda in Scienze Motorie e Sportive, che molto gentilmente e professionalmente mi ha scritto questo post che vale proprio la pena di leggerlo, perchè spiega molto bene tutti gli aspetti correlati alla scelta di un’attività sportiva per un bambino.
Chi opera nell’ambito sportivo sa che una delle preoccupazioni più sentite dai genitori è quella di trovare lo sport più adatto per i propri figli. Normalmente si cerca uno sport “completo” e la domanda che più spesso viene fatta è quale sia lo sport “più completo” in assoluto. Come è ovvio, la risposta che si dà in questi casi è che non esiste uno sport veramente completo in assoluto, in quanto ogni attività fisica, quando viene indirizzata verso una specializzazione, promuove nel praticante certe caratteristiche a discapito di altre.
La cultura popolare vede nel nuoto la disciplina che maggiormente soddisfa l’esigenza di sport “omnicomprensivo”, ma, ad un esame più attento, risulta evidente che neppure il nuoto può fregiarsi di questo titolo, perché, ad esempio, non interviene su importanti qualità quali l’abilità di coordinare il corpo rispetto allo spazio circostante, la propiocettività, la capacità di saltare, correre o lanciare oggetti e la capacità di socializzare e di lavorare insieme agli altri per un obiettivo comune.
Ma allora, quale sport scegliere ed a quale età cominciare l’avviamento sportivo?
Per prima cosa occorre capire se la richiesta di svolgere un’attività fisica organizzata proviene dal bambino o dal genitore.Spesso il bambino mostra semplicemente una decisa e naturale volontà di muoversi, mentre è del genitore il desiderio di iscriverlo ad un corso piuttosto che ad un altro, magari per motivi di comodità organizzativa nella gestione familiare. La prima indicazione da dare è che il bambino si deve divertire a fare quello che fa. Iscriverlo ad un corso, magari prestigioso,dove però il piccolo allievo non si trova a suo agio, è sicuramente deleterio. In questo periodo di crescita, il bambino ha forti motivazioni allo sport. Quandosi appassiona ad un’attività motoria, ovviamente sotto forma di gioco e di divertimento, manifesta un grosso impegno ed evidenzia la presenza di una motivazione concreta e dominante. Probabilmente i due fattori primari che agiscono da molla sono il gioco e l’agonismo , oltre ad altri fattori secondari. In particolare non va sottovalutato l’agonismo, che traduce in realtà, a livello simbolico, bisogni della persona del tutto naturali, in questa età, collegati all’aggressività all’autoaffermazione all’interazione con la realtà. L’agonismo, dunque, essendo un fattore compensativo,equilibratore e liberatorio, se viene vissuto in un contesto organizzato,gestito da un istruttore preparato, e adeguatamente controllato, funziona da decongestionante psichico, favorendo la crescita psichica ed emotiva dell’allievo.La pratica sportiva con manifestazioni agonistiche, quindi, magari non risolve, ma contribuisce a lavorare sui bisogni e le ansie individuali del bimbo, favorendo anche il suo inserimento “sociale .Iscrivere un bambino ad un corso di avviamento allo sport, quindi, significa agire anche sul suo sviluppo psichico,oltre che su quello fisico. La pratica sportiva prolungata, infatti, ha degli effetti sulla personalità, essendo dimostrato, ad esempio, che può agire su eventuali atteggiamenti ossessivi, di coartazione emotiva o su atteggiamenti istrionici. La cosa importante è che sempre l’attività venga prospettata,sia da parte dei genitori che degli insegnanti come un qualcosa di divertente,che “è bello fare” , onde evitare sintomi di psicopatologie dell’atleta, a dimostrazione che lo sport, in certi suoi eccessi, non fa sempre bene, quali,ad esempio, la sindrome da paura dell’insuccesso. Si tratta di una sorta di ansia preagonistica, con una complessa sintomatologia psichica e somatica.Mentre l’atleta adulto lavora e si allena in funzione del risultato, ciò non deve assolutamente avvenire per il bambino e per il giovanissimo. Tra l’altro questo è sbagliato non solo evidentemente su un piano etico e sociale, ma anche funzionale e della specializzazione: un grande specialista di domani, infatti, deve oggi essere un bambino che si diverte a fare sport e che cresce equilibrato e ricco di esperienze motorie. Non ha ragione di essere, dunque, il timore di alcuni genitori che il proprio figlio non possa diventare un campione se non comincia a specializzarsi in tenera età.È più vicino al vero semmai il contrario. È però importante che fin da piccolo acquisisca varie esperienze di movimento. Anche lo stress agonistico deve essere assolutamente evitato: un atleta maturo deve avere una carica psicologica tale da farlo lottare fino alla fine, in gara, contro il suo avversario, anche se si tratta del suo migliore amico. In un bambino, però questo significherebbe caricarlo della pressione di un intero ambiente affettivo:genitori, allenatore, compagni a cui egli tiene. L’ansia potrebbe essere maggiore del piacere della pratica sportiva. Ecco perché la specializzazione va ritardata il più possibile.
Bisogni dei bambini e fattori di sceltaChiarito questo, mettiamoci ora nei panni del genitore coscienzioso che, resosi conto dell’importanza fisica e psicologica di una sana attività corporea per il figlio, si trovi in mano tre o quattro volantini di polisportive e di centri di avviamento allo sport e debba scegliere a quale corso iscriverlo. Per dargli un consiglio occorre capire di che cosa ha bisogno un bambino di età compresa tra i cinque ed i sette anni.
L’ambiente di provenienza
Occorre innanzi tutto tenere in conto dell’ambiente di provenienza del bambino. In ambiente rurale possono non esserci problemi che sussistono in un ambiente urbano dove i bimbi, a volte,sono letteralmente deprivati sul piano senso-motorio: innumerevoli ore spese davanti alla televisione o al computer o a i videogiochi, gli spazi ristretti e monotoni, l’innaturale interdizione motoria, producono forti mancanze nel campo delle abilità motorie, che devono essere recuperate dall’insegnante sportivo. Ciò, però, non può avvenire per mezzo di ginnastiche ritualizzate o sport ripetitivo a scarso contenuto cognitivo, come, ad esempio il nuoto, se praticato in modo tradizionale, ma attraverso programmi differenziati, continuamente arricchiti in senso ludico ed estremamente variati.
I fattori di scelta secondo il CONI
Il CONI, in Italia, nel redigere i programmi per i centri di avviamento allo sport per i bambini di ambo i sessi tra i 5 e i 7 anni, prevede che in questa fascia l’attività sportiva sia orientata a fini“fisico-formativi”, soffermando l’attenzione su 3 punti fondamentali, che descrivono le caratteristiche ed i bisogni dei bambini nelle varie fasce d’età:
- Il fattore auxologico
- Il fattore psicologico-sociale
- Le modalità di apprendimento.
Vediamo le caratteristiche di ciascuno di questi.
Il fattore auxologico
Tra i 5 e i 6 anni nel bambino c’è il primo allungamento, che consiste in una spinta in lunghezza che interessa soprattutto l’apparato osseo, più che quello muscolare e che si incentra soprattutto nelle gambe. Accade quindi che lo scheletro aumenti di peso, le leve ossee si allunghino senza che vi sia, però, un adeguamento della forza muscolare. La colonna vertebrale può tendere ad incurvarsi, dando origine ad attitudini quali la cifosi e la scoliosi, soprattutto quando lo sviluppo non è perfettamente simmetrico sul lato sinistro e su quello destro del corpo. Dai 7 anni incrementa la capacità respiratoria, quindi la colonna vertebrale e la gabbia toracica soffrono particolarmente se manca un’adeguata attività fisica. Dagli 8 anni, invece, c’è un certo aumento della massa e della forza muscolare che, se oculatamente guidata, porta a supplire alle carenze dei periodi precedenti.
Il fattore psicologico-sociale
Non è possibile riassumere in modo preciso le caratteristiche psicologiche degli allievi di questa fascia di età, perché vi sono sensibili differenze fra ciascuna delle tre età e tuttora la ricerca scientifica non dà risposte che possano intendersi come definitive. A cinque anni il bambino risente ancora del processo di identificazione con il genitore dello stesso sesso, pur essendo consapevole della propria diversità e del proprio corpo. Vi è comunque una dipendenza morale ed affettiva dagli adulti. Il gioco tra bambini di questa età, che è il modo principale in cui si manifesta il comportamento sociale, è caratterizzato da continui litigi ed aggressioni fisiche, magari violente, ma di breve durata. Il processo in corso, però, porta ad atteggiamenti di tipo sempre più associativo, all’interno dei quali i bambini giocano ed agiscono per realizzare un identico scopo. Dai 6 anni, invece, cominciano ad esserci notevoli progressi nell’acquisizione della consapevolezza del proprio corpo e della propria psiche. Inizia anche a comprendere come gli altri lo vedono e lo giudicano, quindi richiede agli altri di essere rispettato e di essere tenuto in giusta considerazione. Reagisce ai rimproveri e alle gratificazioni. Il settenne manifesta un notevole interesse per il proprio corpo e si diverte ad esplorarne le caratteristiche e le capacità. La sua capacità di socializzazione aumenta e, lentamente, tendono a diminuire le tendenze egocentriche. Verso gli otto anni, infine, aumenta e si rende del tutto evidente il bisogno, da parte del bambino, di autorealizzarsi, anche in funzione dei modelli che l’adulto gli dà.
Le modalità di apprendimento
Occorre considerare che non sempre l’apprendimento motorio per imitazione è proficuo e redditizio per il bambino. L’allievo, infatti, può eseguire i gesti motori solo se precedentemente è stato posto in grado di avere imparato esperienze motorie più semplici ed elementari. L’apprendimento di ogni gesto può essere impossibile se prima il bambino non ha appreso gesti più semplici che fungono da “mattoni” per costruire quello più complesso. Quindi il processo tradizionale di insegnamento dei gesti motori: “dimostrare”- “fare eseguire”- “correggere” potrebbe non essere il più corretto, anche perché potrebbe dare origine a situazioni cariche di ansia o di frustrazione. L’obiettivo, quindi, è quello di instradare l’allievo sulla via di una buona esecuzione motoria, affinché il bimbo acquisisca padronanza dei gesti. A partire dai cinque anni, quindi, l’apprendimento motorio deve avvenire sempre per gradi e favorendo l’espressione spontanea ed individuale, in forma gioiosa e ludica. I bambini imparano dai propri errori. Una caratteristica importante dell’insegnante, quindi, deve essere quella di non sottolineare l’errore o correggerlo, ma di stimolare le capacità autocorrettive dell’allievo, inserendovi elementi motivanti l’attenzione e la ripetizione, anche per evitare che il bambino, sopraffatto dall’insuccesso o dalla frustrazione e dal rimprovero, si ritragga dal ripetere l’esperienza.
L’attività sportiva ideale
L’attività sportiva ideale, dunque, è quella che:
- È gestita da un insegnante che conosca questi elementi;
- Viene organizzata nel rispetto di questi fattori;
- Stimola lo sviluppo, nel bambino, delle capacità ad essi collegate
- Un’altra considerazione che spontaneamente viene alla mente è che l’istruttore può divenire più importante, nella scelta, della disciplina sportiva . Visto che, come abbiamo sottolineato, l’attività in queste fasce di età deve essere generale, varia e non specialistica, nonché priva di eccessi agonistici, non ha in realtà grande importanza quale disciplina viene scelta. La cosa importante è che l’istruttore sia preparato e conosca quanto detto.
Purtroppo in molte società sportive si verifica un meccanismo distorsivo per il quale gli aspetti agonistici hanno il sopravvento su quelli ludico-formativi. Prendiamo ad esempio il caso del calcio, semplicemente perché è lo sport più diffuso nel nostro paese. Una società sportiva di medie dimensioni ha perlomeno una squadra giovanile per ogni categoria, dai “pulcini” in su fino alla “primavera”. Visto che, per un’errata ma diffusa concezione di quello che è il prestigio sportivo, le società si fregiano dei successi o comunque dei risultati delle proprie formazioni giovanili, la dirigenza spesso assegna gli allenatori o gli istruttori alle varie squadre collegando direttamente la qualità e l’esperienza del preparatore alla categoria, in modo che i ragazzini più giovani, appunto i cosiddetti “pulcini” si ritrovano l’istruttore più giovane ed inesperto, che oltretutto viene comunque incentivato a raggiungere risultati agonistici nei tornei di categoria. Questo è proprio l’atteggiamento da evitare.
Il genitore dovrebbe assicurarsi che nei primi tempi di pratica sportiva il bambino sia indirizzato verso un percorso di crescita fisica e psicologica in cui l’agonismo venga coltivato e gestito, perché utile al suo sviluppo psichico ed emotivo, ma non esasperato.
Un altro aspetto da non trascurare è la famosa distinzione tra sport di squadra e sport individuali. Secondo i più, i primi favorirebbero le capacità dell’allievo di socializzare e di inserirsi in un gruppo, mentre i secondi promuoverebbero maggiormente la capacità del singolo di assumersi la responsabilità del risultato finale. In realtà questa distinzione ha più ragione di essere quando l’attività sportiva è finalizzata ad un risultato agonistico e quindi in un periodo successivo a quello che stiamo prendendo ora in considerazione. Non va dimenticato, inoltre, che un buon insegnante è in grado di creare un forte clima di squadra, di solidarietà e di partecipazione anche in sport individuali, ad esempio organizzando saggi,cosa peraltro assai positiva anche per piccoli allievi compresi nella fascia di età tra i cinque ed i sette anni.
Tutti gli sport vanno bene,l’importante è scegliere un buon insegnante.
L’insegnante deve sapere come si sviluppa psicologicamente e fisicamente un bambino di questa età. Deve iniziare con il gioco senza mettere come unico obiettivo la vincita di un premio o di una gara. Deve essere preparato.
Quindi questo è l’unico importante consiglio da dare ai genitori: scegliere un allenatore bravo e preparato.
Per ulteriori approfondimenti Chiara consiglia anche di leggere questo articolo: “Lo sport fa veramente bene?”
Grazie Chiara per quanto ci hai spiegato e invito tutti a seguire la sua pagina facebook.
Bellissimo. Interessantissimo. Giustissimo.
Brave ad entrambe!
Pattibum
😉
Molto molto interessante 😉