Stiamo sempre a giocare e a “smanettare” con lo smartphone, anche e soprattutto noi mamme:…
Last Updated on 10 Febbraio 2020 by Micaela
Ormai è cosa obsoleta: chiedere i compiti al telefono. Non si fa più.
Noi sì, lo facevamo, anzi. Quella era solo la punta dell’iceberg.
Dietro a quella telefonata c’erano milioni di altre informazioni, sfumature e tutta la nostra rete di rapporti sociali si basava su quello. Quella telefonata pomeridiana era fondamentale.
Ti ricordi quando tornavi da scuola e aspettavi subito dopo pranzo, che eri sicura che la tua migliore amica avesse già finito di mangiare a casa e che non disturbassi la sua famiglia, e immediatamente componevi il suo numero sul telefono?
La rotella che girava, i numeri che si susseguivano. E poi sbagliavi a comporre e ricominciavi.
E ti ricordi che lo conoscevi a memoria, il suo numero e non avevi bisogno di andartelo a rileggere dalla rubrica del diario?
Ti ricordi che se rispondeva la sua mamma, ti schiarivi la voce, ti mettevi pure seduta composta e non sbracata sulla poltrona e dicevi:
“Salve, sono Micaela, posso parlare con Laura, per favore?” e aspettavi.
E ti ricordi che sentivi da lontano lei che ciabattava di corsa per raggiungere il telefono e sentivi come, carina lei, ringraziava la sua mamma e ti rispondeva con quel tono di voce sempre allegro e leggero?
Ti ricordi quando, con la scusa di sapere i compiti, si andava a parlare di tutt’altro?
Dalla prof di matematica che non ci capiva niente, a quella di inglese che ci sommergeva di compiti da fare. Dal tipo carino della quinta A che mi aveva fermato durante la ricreazione e mi aveva chiesto di uscire, a come si era conciata invece quella tipa della quinta B?
E ti ricordi che la versione di latino riuscivamo a farla trovando pezzi di frasi sul vocabolario e mettendole insieme, il tutto facendolo per telefono?
E ti ricordi di tua madre che dall’altra stanza continuava a ripetere: “Michèèèèèèè, mi serve il telefonoooooo!”
Oppure che sentivi che dall’altro ricevitore, tua sorella provava a comporre il numero della sua amica e tu le rispondevi: “Hey! Ci sono io! Aspetta!”
Ah, quella di quando papà poi, che tornò infuriato a casa una sera minacciando di tagliare il telefono e tutta la SIP perchè aveva trovato la linea sempre occupata e aveva una cosa urgente da comunicare, te lo ricordi, vero? Sì, che lo ricordi! Fu una sfuriata memorabile!
“Che ha dato per domani quella di italiano?”
“Ah, vabbè… tanto non interroga!”
“Sì, il problema l’ho fatto. Quanto ti viene?”
“Dai, domani lo rivediamo insieme. Sabato che facciamo?”
“No, io con quella non ci esco, non mi va, ma come ti viene in mente?!”
“Non lo so, dai, lo devo chiedere a mio padre, mica lo so se posso venire.”
Il filo era sempre troppo corto per potersi mettere in una stanza in tranquillità a parlare del più e del meno, di questioni per noi importanti e di mondiale peso. Eravamo abili a dare risposte criptiche, che soltanto il nostro interlocutore dall’altro capo del telefono, riuscisse a decifrare, perchè il resto della famiglia non doveva capire, quelli erano i nostri segreti. Segreti.
E hai mai pensato che anche quando andava via la corrente potevi comunque usare il telefono? Sì. Era analogico e non aveva bisogno di una batteria. Pensa un po’! Incredibile, vero?
Quando ero a casa da nonna poi, il telefono era nel corridoio, proprio al centro della casa. Non c’era una sedia vicino, un angolo dove infilarti. Niente. Tutta la casa ascoltava la tua telefonata. Alla faccia del “Grande Fratello”. Mia nonna era più astuta di un agente della CIA. A costo zero teneva tutto sotto controllo, altro che GPS e cimici da inserire. Lei sapeva. Tutto. E non si muoveva paglia senza il avere il suo sguardo vigile che controllasse.
Ti ricordi poi di quando invece ricevevi una telefonata e sapevi già che era per te e ti buttavi addosso alla cornetta, ma c’era lì pronto tuo padre ad afferrare il ricevitore e a rispondere, con la sua voce profonda: “Pronto?”
Dall’altra parte sicuro c’era sempre, sempre, un attimo di esitazione, quell’attimo che faceva pensare: “Vado avanti o riattacco?”, tanto che alcune volte poi chi chiamava attaccava direttamente aspettando in un momento più fortunato.
Se poi si aveva il coraggio di andare avanti, si parlava. Ma se il chiamante non usava la formula giusta di “saluto-presentazione-perfavore” difficilmente papà mi passava la telefonata e rispondeva con un: “No, non c’è!”. Fine. Anche se si fosse trattato del principe azzurro in persona. Carrozza passata per sempre sotto il naso. E via.
E ti ricordi di quando si scendeva da casa con una scusa qualunque, con in tasca quanti più spicci possibili, per andare a telefonare da una cabina pubblica, pur di avere un minimo di privacy? Sì, dai che te lo ricordi! E puntualmente la telefonata si interrompeva sul più bello, perchè la linea cadeva quando avevi finito i soldi e amen!
Ti ricordi tutto tutto tutto?
Eh, allora da una parte è confortante: vuol dire che hai una buona memoria, anzi, ottima.
Dall’altra è che siamo vecchi. Tutto questo, appartiene alla storia e il nostro telefono colorato della swatch, a cui tenevamo tantissimo e che credevamo fosse un opera avveniristica, ora potrebbe stare dentro un museo a raccontare di questo nostro passato.
Vabbè, dai, non siamo vecchi. Forse siamo un tantino vintage. Ma almeno abbiamo qualcosa da raccontare.
Sarà che ormai i quaranta sono arrivati, sarà che comincio a fare come i vecchietti che ricordano il passato, ma a me piace raccontare di queste cose ai miei figli, che mi guardano con quegli occhioni sgranati come per dire: “Nooooooooooo, non ci credo!“.
Eppure è così. E, in fondo, non è che siano passati tutti questi anni, eh!
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